Gianfranco Ferré
Gianfranco Ferré dona nel 1982 allo CSAC dell’Università di Parma 2286 opere con gli estremi cronologici dal 1972 al 1981. Il fondo dedicato allo stilista conosciuto come “l’architetto della moda” è costituito principalmente da materiale progettuale, interamente consultabile: figurini, disegni e schizzi, tecnica mista su carta con applicati, nella maggiore parte dei casi, campioni di tessuti. In archivio è conservato anche lo studio per il logo dell’azienda fondata nel 1978, in cui si nota la modalità progettuale, strettamente collegata al disegno architettonico. A testimoniare la collaborazione con grandi fotografi di fama internazionale, tra cui Michel Comte, Bettina Rheims, Herb Ritts e Stevein Meisel, Gianpaolo Barbieri, e le campagne conservate nel fondo Chiara Samugheo, nella sezione Fotografia dello CSAC.
L'esordio e il successo
Dopo la laurea in architettura presso il Politecnico di Milano, Gianfranco Ferré (Legnano, 1944 – Milano, 2007), nel 1970 inizia la propria carriera nella moda affiancando lo stilista Walter Albini, nella creazione di accessori1. Contemporaneamente collabora anche con Cristiane Balley e Elio Fiorucci su e per l’azienda genovese Impermeabili San Giorgio. Nel 1974 incontra Franco Mattioli e dopo quattro anni dal loro sodalizio, che si protrarrà fino al 1999, nasce la Gianfranco Ferré S.p.A. Alla collezione femminile di Prět-à-Porter, segue nel 1982 quella maschile per cui lancia anche una linea di accessori. Nel 1984 vengono distribuite le linee di accessori e di profumi femminili.
Nel 1986 Ferré esordisce nell’Alta Moda riscuotendo un enorme successo, tanto che la celeberrima maison francese Christian Dior, gli affida la direzione artistica nel 1989. Nel 1998, torna a dirigere la sua azienda e ne trasferisce la sede negli spazi completamente rinnovati dell’ex palazzo Gondrand a Milano, in cui confluiscono otto linee di abbigliamento ed accessori.
I mercati giapponesi e statunitensi vengono ben presto conquistati e, a partire dal 1997, si ampliano anche i rapporti con i vari partner industriali, tra cui la Marzotto, la Itierre e la Mondianpelli. Nel 2000 Ferré dona alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti 32 suoi abiti tra i più famosi delle sue collezioni; nel 2002 la società omonima viene acquistata dalla IT Holding di Tonino Perna e lo stilista ne diventa il direttore artistico.Un affondo sul lavoro di Ferré viene fatto da Mariella Milani nel podcast di Fashion Confidential.
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Il disegno
Dai figurini conservati nel fondo CSAC, emerge la capacità progettuale dello stilista, un’abilità in grado di evidenziare i volumi del capo, le altezze e l’impianto strutturale dell’abito: il modello prima di tutto è costruito attraverso una sapiente e precisa costruzione architettonica, dove i concetti di forma, colore e materia costituiscono una forma di unità inscindibile. Un percorso progettuale che viene restituito anche da una esposizione monografica di Google Art and Culture.
Come scrive lo stesso Ferré:
La creazione propriamente detta dipende da una sottile alchimia e chi padroneggia i suoi misteri è molto abile. Una collezione è un tutto, un po' come una storia con un prologo, uno svolgimento, un epilogo, e forse, anche una morale, che saranno le chiavi della nuova moda. Ma una collezione deve essere sapientemente equilibrata. Tutto il lavoro consiste nel dosare. Il mio disegno è solo il punto di partenza, l’equivalente dell’abbozzo del pittore o del «Lucido» per l’architetto.2
Una qualità di lavoro che non passava certamente inosservata agli occhi dei suoi stessi colleghi: nel libro Ferré di Edgarda Ferri viene ricordato l’incontro tra Ferré e Krizia3, avvenuto nel maggio del 1978 in un laboratorio di tessuti di Como, in quell’occasione Krizia disse «Gianfranco è il più bravo di tutti». Come afferma Giusi Ferré,
ogni abito, per lui, è un progetto fatto di forme elementari che interpretate, mediate, riadattate, possono assumere una fisicità sempre diversa.4
Questa mediazione emerge in molti figurini conservati allo CSAC, come nelle collezioni donna primavera estate e autunno inverno del 1975, dove il trench è protagonista e il disegno elaborato a partire da una semplice silhouette. I trench sembrano emergere da linee sintetiche e precise, che danno origine a forme geometriche e allo stesso tempo sinuose.
Certamente Ferré e molti altri stilisti che come lui muovono i primi passi proprio all’inizio degli anni Settanta, si devono confrontare con un nuovo concetto di disegno: il vero polo di ricerca diventa la fabbrica e tutto il sistema computerizzato che si muove attorno ad essa, e permette una progettazione sempre più legata alle nuove tecnologie, sempre meno incentrata sul confronto diretto con il cliente in atelier. Come scrive Arturo Carlo Quintavalle,
negli anni Sessanta e nei primi Settanta, Ferré porta, nel disegno progettuale, il gusto della cultura architettonica, e della di lei grafica, quindi il suo disegno progettuale espone veramente, sia pure in modo simbolico, le fasi della progettazione e considera l'abito una struttura. Oggi, col mutare dei punti di riferimento storico culturale dello stilista, la situazione appare notevolmente diversa, ma è comunque indubbio che il disegno di Ferré, con l'evidenziazione di certi dettagli a molte parentele con i disegni del progetto dove in particolare viene esposto in scala differente mentre l'insieme resta appena accennato.5
La camicia bianca
Emblema di tutto il suo operato è l’iconica camicia bianca, di cui lo CSAC conserva alcuni figurini. Come scrive Fabriano Fabbri:
[…] il bianco azzerante di una camicia da uomo prestata al guardaroba femminile diventa lo stimolo per galvanizzare le forme, per addestrate la geometria e farsi mobile e flutteante: i tagli restano precisi e definiti, ma intanto risentono di scatti energetici, quasi di sobbalzi materici. Come se il mondo della ratio e del controllo si aprisse al furor dell’informe.6
Gianfranco Ferré intendeva la camicia bianca come un termine di uso universale nel lessico contemporaneo, che però ognuno poteva pronunciare a suo piacimento: mai uguale a se stessa, eppure inconfondibile nella sua identità. Nel 2014 il Museo del Tessuto di Prato, in collaborazione con la Fondazione Gianfranco Ferré, ha reso omaggio al genio creativo dello stilista, organizzando una mostra dal titolo La camicia bianca secondo me. Gianfranco Ferré, in cui sono stati esposti 27 modelli di camicie bianche, tra i più significativi della sua produzione sartoriale, nonché i disegni preparatori, filmati e illustrazioni. La stessa esposizione è stata replicata nel 2015, con grande successo, a Milano nella Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale.
Il rapporto con le arti
Lo stilista è riuscito a mixare la moda con l’arte e il design realizzando capi dall’alto valore concettuale. Un’attenzione al mondo dell’arte emerge anche dal suo scritto “Ad un giovane stilista”, dove scrive
se torno al mio piccolo museo personale, vi trovo Klimt, Fontana, De Chirico, Modigliani, Braque, Léger, Burri, Del Pezzo, Rotella, Depero… In comune hanno un senso innovatore delle forme, che esprime un intenso dinamismo7
ma non manca di citare anche grandi maestri del passato come Rubens, Rembrandt, Tiepolo, Veronese, Poussin, e prosegue affermando:
Le mie prime emozioni sono legate alla Pinacoteca di Brera, ai musei Vaticani e agli Uffizi di Firenze, ai musei di Capodimonte a Napoli. Poi c’è stato il Louvre, la National Gallery, il Rijksmuseum, il Prado, il Kunsthistorische di Vienna, l’Hermitage, il Guggenheim di New York… È il senso compiuto della bellezza che mi affascina e ritrovo nei capolavori dell’arte. Dal punto di vista ideale riempie il mio lavoro. C’era già allora in me la stoffa del collezionista!8
Non a caso, nel marzo 2007, pochi mesi prima di morire a causa di emorragia cerebrale, Ferré viene chiamato ad assumere la carica di Presidente dell’Accademia di Belle Arti di Brera.
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Lo stesso Ferrè scriverà su Albini: «Fra noi è scattata una reciproca e immediata stima. Tuttavia, appartenevamo a due categorie diametralmente opposte. Io avevo voglia di progetto, di logica, di ricerca. Lui, no. Lui aveva estro, e una certa superiorità estetica che era figlia di quei tempi. La nostra è stata una collaborazione abbastanza anomala. Gli ho ridisegnato degli accessori, ma soprattutto gli ho rimesso a posto un archivio che aveva acquistato dalla Noberasco, che era stata una grande premiére della Schiapparelli. Mi sono chiuso in un ufficio in corso Italia, ho letto e studiato centinaia di libri, di schizzi, di appunti. È stata una esperienza fondamentale. Per la prima volta, ho capito che cos’era un vestito». Gianfranco Ferré, in Edgarda Ferri, Ferré, Longanesi, Milano, 1995. p. 49.
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Gianfranco Ferré, A un giovane stilista, Nuove Pratiche Editrice, Milano, 1996, p. 61.
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Krizia aveva già lavorato con Ferré, quando gli aveva commissionato degli accessori mentre lavorava con Albini.
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Giusi Ferré in “Gianfranco Ferré. Itinerario” (a cura di Giusi Ferré), Leonardo Arte, Milano, 1999.
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Arturo Carlo Quintavalle, Per una immagini della moda pronta, in Gloria Bianchino, Arturo Carlo Quintavalle, Moda. Dalla fiaba al design, Italia 1951-1989, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1989, p. 153
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Fabriano Fabbri, , Atlante, Monteveglio, Bologna, 2013, p. 50.
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Gianfranco Ferré, , Nuove Pratiche Editrice, Milano, 1996, p. 71.
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Gianfranco Ferré, , Nuove Pratiche Editrice, Milano, 1996, p. 71.