Giorgio Armani

Il fondo di Giorgio Armani è stato donato nel 1982 ed è composto da 8750 figurini, disegni, schizzi, tecnica mista su carta e cartoncino, con applicati campioni di tessuto (di cui 3281 disegni originali e 5469 fotocopie). Gli estremi cronologici dei figurini donati vanno dal 1975-1976, anni in cui lo stilista insieme a Sergio Galeotti, fonda la sua azienda, al 1980, data che vede la figura di Armani imporsi oltre oceano, emblematica è difatti la copertina che gli dedica il “Times” 1982 e solo un anno prima la rivista americana “GQ” lo elegge miglior stilista per la moda maschile

Copertina Times
Copertina del Times, dal sito Times

L’esordio

Oggi considerato il Re della moda mondiale, spesso chiamato difatti con l’appellativo di Re Giorgio, Armani inizia la sua carriera alla Rinascente di Milano per poi soggiornare nella capitale francese per diversi periodi, esperienze che lo porteranno a differenziarsi non solo per stile ma sopratutto per una alta capacità nel riflettere sulle enormi potenzialità dei Grandi Magazzini, quindi un’attenzione sulla produzione in serie, sui prezzi differenziati, sui modelli promozionali e sulla targhetizzazione della fascia clienti. Un’attenta analisi del fenomeno dei Grandi Magazzini viene fatta da Quintavalle e Bianchino che attraverso un paragone tra l’Italia, la Francia e gli Stati Uniti evidenziano come nel nostro paese, prima degli anni Settanta, queste catene fossero considerate

un luogo popolare per antonomasia, e dunque non atto a conferire, a chi comprava, un’immagine e, quindi, uno status, una dignità, una funzione1

Agli esordi della carriera Armani collabora quindi con differenti realtà italiane come la Hitman di Nino Cerruti, negli anni la sua fama, in continua crescita, lo porta alla conquista di numerosi riconoscimenti tra cui: L'Occhio d’oro e il Men’s Award Cutty Sark, come miglior stilista internazionale.

La donna e l'uomo

Dal Fondo CSAC emerge una progettualità che, anche se in fase embrionale, rappresenta in pieno la rivoluzione di Giorgio Armani. Per anni si è detto, in modo molto riduttivo, che Armani ha vestito la donna da uomo, su questo nodo critico si è interrogato Quintavalle, nel libro - a edizione limitata - pubblicato da Franco Maria Ricci di cui CSAC conserva il progetto, che scrive:

D'altro canto la progettazione di Armani risponde ad un differente modo di concepire le persone, i singoli, aspetto e questo è certamente stato detto, ma risponde soprattutto, a una rivoluzione semiotica in cui i caratteri vanno evidenziati. Non si tratta semplicemente dell’integrazione delle tradizioni di moda maschile e femminile, si tratta, semmai, del riconoscimento delle funzioni “narrative” della donna e dell'uomo nella nostra società, per cui mantenere gli abiti secondo gli schemi ritualizzati appare assolutamente impossibile a confronto con la realtà esistente, quella che leggiamo nei serial tv come nei film, che vediamo nella vita e nelle domande che l'esistenza pone.2

Evidente dalle parole di Quintavalle come il lavoro di Armani sia strettamente connesso al contesto e alla sua contemporaneità, rimescola i concetti generazionali e gli universi maschili e femminili proponendo uno specchio delle grandi trasformazioni del Sessantotto. Nello stesso volume Anna Piaggi scrive:

In realtà, e per sua stessa ammissione, Giorgio Armani ha fatto, nella moda contemporanea, una doppia operazione: da un lato ha inventato, per la donna, una uniforme stilizzata di stampo maschile, dall'altro ha inventato, per l'uomo un modo di vestire che, per certi lati, poteva essere considerato un po' femminile, come la giacca senza fodere, con l'aria délabré (sono parole sue), non stirata, non rigida. Più femminile che maschile.3

Le collezioni e l'industria

Armani viene intervistato nel 1983 da Enzo Biagi e alla domanda posta dal giornalista: “Chi fa la moda è un artista o un artigiano?”, Armani risponde che è un artista ma legato strettamente a doppio filo con il mondo dell’industria, evidenziando in questo modo la centralità del nuovo mondo produttivo tipico del prêt-à-porter. Difatti,

Nel 1978 al gruppo finanziario tessile […] propose a Giorgio Armani, da pochi anni staccatosi da Cerruti un rapporto di consulenza volta a portare nella cultura aziendale della confezione industriale un nuovo know how tecnico e stilistico. Armani rifiutò un semplice accordo di consulenza e richiese un rapporto di licenza per la produzione di una linea che avesse il suo nome, con una divisione di compiti precisa tra le parti. Il caso Giorgio Armani, con le sue particolarità, fu il modello sul quale, alla fine degli anni Settanta, in Italia si costruì la relazione tra stiliste industrie immagine.4

Il rapporto con il tessuto industriale emerge nell’elaborazione di molti figurini, come ad esempio i modelli per il defilè SNIA (fig.1; fig.2).

Una peculiarità progettuale evidente nel lavoro dello stilista è il disegno elaborato a pastello su un pagine nere intestate con il font Armani, questa modalità sembrerebbe essere un unicum nei fondi dedicati alla moda dello CSAC. I disegni delle collezioni donna autunno inverno del 1979/1980 (fig.3, fig.4, fig. 5, fig. 6)  restituiscono oltre ad una unicità per l’elaborazione su sfondo nero, anche un prezioso materiale di indagine per le stoffe utilizzate da Armani, infatti grazie a piccoli brandelli di tessuto riusciamo a comprendere il materiale, la tonalità dell’abito e la fantasia precisa, su alcuni inserti è riportato il codice (probabilmente il pantone) e il nome dell’azienda tessile di riferimento. Inoltre, il disegno restituisce anche uno studio sugli accessori, ogni modello è seguito da un paio di scarpe e da una borsa che fanno emergere la complessità e l’unitarietà del disegno progettuale. Nel fondo Armani sono anche presenti alcune collezioni come quella Donna Autunno Inverno 1979/1980 nella quale è protagonista il tanto iconico tailleur sviluppato su gonne e pantaloni e arricchito da soprabiti (fig.7). Lo CSAC conserva inoltre alcune collezioni uomo, come quella Inverno 1979-8 (fig.8), dove il nucleo centrale è un indumento iconico come il trench.

Il cinema

Un altro elemento importante per poter leggere l’universo di Armani è il suo rapporto con il cinema, le sue collaborazioni sono innumerevoli, la prima – emblematica – è American Gigolò con Richard Gere, che approda anche sulla copertina di GQ con un suo abito. Le giacche destrutturate di cui lo CSAC conserva i bozzetti di un’intera collezione autunno inverno 1979 permettono di leggere una nuova tipologia di uomo, che come afferma Sofia Gnoli rispecchia “una mascolinità disinvolta e a proprio agio”5, attraverso alcune lavorazioni come le variazioni sulle proporzioni tradizionali del capospalla con il conseguente alleggerimento del completo intero. La lista dei film è molto lunga: Gli intoccabili del 1987; Quei Bravi Ragazzi del 1990; The bodyguard del 1992; Gattaca del 1997; Bugie, baci, bambole & bastardi del 1998; The Ocean's Thirteen del 2007; The Dark Knight del 2008; Duplicity del 2009; Mission – Impossible. Ghost Protocol del 2011, The Dark Knight Rises del 2011; The Wolf of Wall Street del 2014; A Most Violent Year del 20146. Nel 1999 ha prodotto inoltre il famoso documentario di Martin Scorsese sul cinema italiano Il mio viaggio in Italia, mentre un paio di anni prima, nel 1990, è il protagonista di Made in Milan sempre di Scorzese.

Gli intoccabili
The bodyguard

La reazione alla pandemia

Durante la situazione pandemica legata al covid Giorgio Armani scrive una lettera aperta al magazine WWD nella quale evidenzia un problema, noto già da tempo, legato alla sovrapproduzione e alle politiche del fast fashion. Armani per tanto scrive:

This crisis is also an opportunity to restore value to authenticity: Enough with fashion as pure communication, enough with cruise shows around the world to present mild ideas and entertain with grandiose shows that today seem a bit inappropriate, and even a tad vulgar — enormous but ultimately meaningless wastes of money. Special events should happen for special occasions, not as a routine.7

Un paio di mesi dopo Giorgio Armani sposta le sue sfilate da Parigi a Milano, cercando di ristabilire un equilibrio tra le fasi produttive.

  1. Arturo Carlo Quintavalle, “Per una immagine della moda pronta”, in Gloria Bianchino, Arturo Carlo Quintavalle, Moda. Dalla fiaba al design, Italia 1951-1989, Istituto Geografico De Agostini, Novara, 1989. p. 128.

  2. Arturo Carlo Quintavalle, “Il racconto di Giorgio Armani”, in Armani, Franco Maria Ricci, Milano, 1982. p. 20.

  3. Anna Piaggi, “Armatologia”, in Armani, Franco Maria Ricci, Milano, 1982. p. 107.

  4. Laura Santanera, Il licensing come strumento di sviluppo del prêt-à-porter italiano in Barbara Giannelli, Stefania Saviolo (a cura di), Il licensing del sistema moda, Evoluzione, criticità, prospettive, Etas Libri, Milano, 2001.

  5. Sofia Gnoli, Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Carrocci editore, Roma, 2020. p. 240.

  6. GQ Italia, Da American Gigolò a Mission Impossible, il cinema secondo Armani

  7. Giorgio Armani Writes Open Letter to WWD